A due mesi dalla scomparsa del compagno Angelo Chiesa, vogliamo riproporvi l’articolo scritto per Varesenews dal Prof. Enzo Laforgia.
21 luglio 2016«[…] Mi ricordo di aver compiuto il 17° compleanno nel carcere dei “Miogni”, dove ero stato da poco trasferito dalle cantine della villa Dansi [in via Dante] che allora era il luogo dove venivano trattenuti i prigionieri politici prima di passarli alle carceri. Ho abbandonato la fabbrica nell’aprile del 1944 dopo che a marzo avevamo organizzato uno sciopero, iniziando la mia attività partigiana. […] Appartenevo a una famiglia operaia. Mio padre, vecchio socialista poi iscrittosi al Partito comunista italiano, mi educò in senso antifascista, una educazione che permeava tutta la nostra famiglia e che mi condusse a prendere parte attivamente, per quello che mi era possibile, alle prime lotte del movimento giovanile antifascista in provincia di Varese.»
Così iniziava la testimonianza di Angelo Chiesa, venuto a mancare il 19 luglio scorso, raccolta da Pietro Macchione nel lontano 1978. Da quando, ancora adolescente, si trovò ad affrontare, in condizioni estreme, scelte difficili e non scontate, Angelo Chiesa ha condotto tutta la sua vita entro due binari chiari e precisi: impegno e partecipazione. Impegno e partecipazione che hanno trovato espressione nelle forme più diverse: dal partito politico, al sindacato, alle cooperative, alle associazioni, agli incarichi ricoperti nelle istituzioni (il Comune, la Provincia, la Regione). Convinto che le “organizzazioni” (politiche, sindacali, sociali) avessero la fondamentale funzione di trasformare le debolezze individuali in forza collettiva.
La sua vita ha attraversato il Novecento. E con le profonde e rapide trasformazioni che hanno caratterizzato quel secolo Angelo Chiesa ha dovuto fare i conti. Non è rimasto nostalgicamente ancorato al passato né ha voluto pietrificarsi nella reliquia del giovane partigiano. Ha vissuto nella storia, dialogando con la storia.
Ed è stato un uomo generoso ed onesto. La politica, per lui, non è stata fonte di arricchimento; non si è tradotta in comode scorciatoie per vantaggiose carriere; dai ruoli che ha occupato non hanno tratto profitto parenti e amici. Ha vissuto tutta la vita nella casa dei suoi genitori, ricavando ancora, dalla vite coltivata da suo padre, il vino che offriva ai suoi ospiti.
Andando avanti negli anni, amava sempre più dialogare con i giovani. Non si imponeva, non enfatizzava episodi della sua vita, non ricopriva di inutili e dannosi orpelli retorici il racconto della sua Resistenza. Da una ventina d’anni a questa parte, quando incontrava gli studenti, si presentava sempre con due oggetti in mano: un suo vecchio quaderno di scuola ed il libretto di lavoro del padre, risalente agli anni Trenta. In questo, l’assenza di ogni riferimento all’iscrizione al Partito fascista, gli serviva per spiegare come la disobbedienza si possa esercitare anche discretamente, senza urli e strepiti, e che, in particolari condizioni, anche un piccolo gesto di rifiuto possa essere importante e, nello stesso tempo, possa scatenare drammatiche conseguenze. Il suo vecchio quaderno scolastico, nel quale, con bella grafia, aveva ricopiato, come compito per le vacanze, i bollettini di guerra a partire dal giugno 1940, gli serviva per dimostrare gli effetti moralmente perversi di una cattiva educazione. Tutto qui. Senza trionfalismi né frasi roboanti né esaltazione di eccezionali eroismi. E concludeva sempre i suoi incontri (almeno quelli di cui ho memoria diretta) con i suoi auguri per coloro i quali si apprestavano a concludere un anno scolastico e un ciclo di studi e con un invito: «Non restate chiusi in voi stessi – diceva ai suoi giovani ascoltatori –, non isolatevi dal mondo, ma incontratevi, discutete. Partecipate alla vita del vostro Paese! Occupatevi delle questioni che riguardano il Mondo!»
Trasmetteva ai più giovani voglia di vivere e voglia di cambiamento. Quando, due giorni fa, è circolata la notizia della sua scomparsa, ho ricevuto un messaggio per posta elettronica da una mia vecchia studentessa: «Caro Professore, ho letto poco fa della scomparsa di Angelo Chiesa. Le scrivo per ringraziarla per avere invitato Angelo, l’anno della terza liceo, a raccontarci la sua storia. Durante quell’incontro e in occasioni successive ho sempre visto in quell’anziano signore la più sincera gioia di vivere. Resisterà altrove.»
Nel 2010, la Cgil di Varese promosse la realizzazione di una video-intervista ad Angelo Chiesa. Il dvd fu realizzato da Alessandro Leone, Ezio Riboni e Stefano Soru. Il titolo scelto per i 28’ e 30’’ durante i quali Chiesa raccontò se stesso, le scelte politiche, i ruoli svolti nel suo partito e nelle istituzioni, fu L’impegno di una vita. Oggi, quando ormai il suo percorso esistenziale si è concluso, quel titolo lo potremmo leggermente modificare: Una vita come impegno.
Enzo R. Laforgia